“Pax tibi, Marce, evangelista meus”. Questa la frase che si legge nel vangelo aperto tenuto dal leone alato, simbolo di San Marco, patrono di Venezia e del popolo veneto.
Al Centro 1 di Arborea vi è una chiesetta intitolata al Santo evangelista, presumibilmente coeva alla edificazione della borgata, quando nel 1939 iniziarono i lavori per erigere questo piccolo villaggio agricolo a ridosso dell’ex stagno di Sassu, prosciugato tre anni prima dalla poderosa idrovora, monumento alla modernità, dell’architetto Flavio Scano. «Milioni di conchiglie, di molluschi bivalvi, che ivi abbondavano e che l’acqua piovana aveva ripulito dalla fanghiglia, riflettevano i raggi del sole a mo’ di specchio, tanto da dar fastidio alla vista», scrive Giovanni Piscedda (Arborea, 1985), al tempo responsabile dell’impianto a motore della “macchina futurista”.
Il 1937 e 1938 sono anni sperimentali. I campi vengono seminati a ladino, ad alessandrino, ad erba medica. Altre zone vengono destinate alla coltivazione della barbabietola, del granoturco, dell’orzo e dell’avena. Sarà però il riso a fare da padrone in quest’area e a caratterizzarla. Oltre all’ottima resa, pare che questa graminacea sia stata preferita ad altre sementi in quanto più adatta alla desalinizzazione del terreno, che per secoli e secoli era rimasto occupato dall’acqua salmastra. Gli operai, prevalentemente marrubiesi, impegnati nella raccolta del riso decisero di votarsi a Marco, il Santo per eccellenza invocato per un buon raccolto. Più di qualche persona ricorda il fascio di piante di riso intorno alle braccia del simulacro in processione. Il picco della produzione comunque si raggiunse nel 1955 per poi iniziare una parabola discendente che avrebbe portato alla fine degli anni ’60 alla sua estinzione in quest’area e alla sua coltivazione in altre zone dell’Oristanese.
Oggi nei terreni del Sassu non c’è più un chicco di riso. È rimasto però San Marco, con una nuova veste. La statua più antica, infatti, è custodita nella parrocchia del SS Redentore in attesa di restauro. Egli, oltre a continuare a proteggere i vari risicoltori approdati in altri lidi del Campidano, da quest’anno è anche il patrono del neonato circolo dei Veneti nel Mondo della Sardegna, con sede ad Arborea, che in occasione della sua ricorrenza liturgica ha preso l’iniziativa per tornare a festeggiarlo, dopo anni di celebrazioni in tono minore, nel pieno rispetto dei lavoratori che “hanno fecondato coi loro sacrifici le terre strappate all’acqua”. La manifestazione è pienamente riuscita, sia per la collaborazione degli abitanti del luogo e al contributo del comitato del SS Redentore di Arborea, sia per tutti i volontari che in qualche modo hanno contribuito al successo di questa giornata. La stessa messa, celebrata da Don Silvio Foddis, è stata molto partecipata ed arricchita soprattutto dalla bellissima omelia del parroco di Arborea, che ha permesso di conoscere più approfonditamente qualche passo del Vangelo sinottico e di “entrare” nella storia di vita del Santo. A conclusione la tradizionale processione, con San Marco portato in spalla da alcuni giovani volenterosi, e la successiva benedizione dei campi.
La giornata è poi proseguita nel pomeriggio con i festeggiamenti civili, in un clima spensierato, che ha permesso a tutti i presenti di riscoprire i giochi di una volta (tiro alla fune, gioco del fazzoletto, corsa coi sacchi, etc) che hanno allietato grandi e piccini e di degustare la “fortaja de San Marco”, frittata con salame, leccornia delle genti venete approdate qui nel secolo scorso.
La serata si è poi conclusa con i canti del coro Santa Cecilia di Arborea, guidati dal Maestro Riccardo Zinzula, e dagli sketch teatrali dei giovani della Pro Loco e della compagnia teatrale “I guasti”. Questi ultimi, col loro repertorio in lingua sarda e veneta, si sono confermati positivamente.
San Marco è quindi riuscito nell’obiettivo di far trascorrere una bella giornata di convivialità a tutti coloro i quali hanno voluto rendergli omaggio anche con la semplice presenza.
Ora però lo attende un compito ben più gravoso, e cioè rimediare alle gelate dei giorni scorsi, salvando quindi parte del raccolto, purtroppo ormai compromesso.