Report su incontri e confronti.
Mi dice che è già stato in Sardegna e che un giorno, parecchi anni fa, passando per Oristano ha visto il cartello Arborea. Ricordandosi dei racconti ascoltati sull’origine veneta dei suoi abitanti, decide di fare un salto nella bonifica e verificare. Così, alla prima persona che incontra, a ridosso di uno dei numerosi poderi, chiede informazioni più dettagliate: “signora, ma è vero che in questo paese molti degli abitanti sono di origine veneta?”. La signora, un po’ sorpresa della domanda, allarga le braccia e, come se stesse dicendo la cosa più ovvia del mondo, risponde: “pee forsa!”.
A riferirmi l’episodio è Andrea Cereser, sindaco di San Donà di Piave, cittadina della provincia di Venezia con più di 40.000 abitanti, la più grande e importante del Veneto Orientale. È il suo complemento (di natura del tutto confidenziale) alla mia relazione incentrata sul patrimonio materiale e immateriale della bonifica di Arborea al festival “Terrevolute”, ospitato non casualmente nella sua città dal 24 al 27 maggio. Simposi, presentazioni di libri, concerti, mostre, escursioni, mercatini con prodotti agroalimentari del territorio, etc. Un evento promosso dall’Anbi Veneto-Associazione dei Consorzi di gestione e tutela del territorio e delle acque irrigue, DiSSGeA-Università degli Studi di Padova e Consorzio di Bonifica Veneto Orientale.
Quando partì il programma nazionale delle bonifiche
La storia di San Donà di Piave è inequivocabilmente legata ai grandi lavori di bonifica idraulica e agraria che hanno interessato il suo territorio, sede del famoso Congresso Regionale per le Bonifiche Venete del 1922, promosso dalla Federazione Nazionale dei Consorzi di bonifica, a cui parteciparono esperti, studiosi ed esponenti politici provenienti da ogni parte d’Italia. In quell’occasione vennero gettate le basi per un progetto organico che ponesse definitivamente termine al problema delle zone paludose e malariche presenti un po’ in quasi tutto il territorio italiano, isole comprese. L’idea della bonifica era già nella mente degli ospiti di quel Congresso, incluso l’organizzatore e illustre sandonatese Silvio Trentin, che per il suo antifascismo sarebbe stato costretto poi a emigrare in Francia.
Come annunciato dalla prof.ssa Elisabetta Novello, docente di Storia Economica all’Università di Padova, curatrice e responsabile scientifico del festival, “Terrevolute” è stato il primo di una serie di appuntamenti annuali finalizzati a portare al centenario del Congresso del 1922, qualificandosi come «un evento di notevole rilevanza per la storia e l’economia della regione veneta». Chiaro l’obiettivo segnalato nel programma della manifestazione: «San Donà di Piave rappresenta per tutti coloro che si occupano di questi temi in Italia e non solo, un fondamentale punto di riferimento, la città simbolo di una lunga battaglia per la conquista di una nuova idea di integralità della bonifica».
Invitato al festival dalla stessa prof. Novello, ho potuto constatare, fatta eccezione per il sindaco Cereser, quanto ancora poco si conosca, al di fuori della Sardegna, delle bonifiche operate nell’isola nel secolo scorso. L’attenzione dei partecipanti, forse proprio per questo motivo, è stata alta, tanto che a conclusione del mio intervento sono stato intercettato da più persone, curiose di conoscere la realtà di Arborea, non solo per la presenza di canali, idrovore, prese, collettori, campi coltivati, etc, rintracciabili anche nel basso Piave, ma anche e soprattutto per l’origine dei suoi abitanti. Tanti lavoratori arrivati a Mussolinia provennero proprio da quest’area del Veneto, all’epoca in profonda trasformazione e abbondante di lavoro, ma non sufficiente ad accontentare tutti suoi residenti.
Tra i più interessati al caso Arborea il dr. Giorgio Talon, Capo Settore Catasto del Consorzio di Bonifica Veneto Orientale. Da ex sindaco di Eraclea, mi ha chiesto se tra le tante famiglie del Veneziano insediatesi in Sardegna ce ne fosse anche qualcuna giunta dal comune di cui egli è stato primo cittadino. Mi ha riferito che al tempo la zona era poco abitata e che sarebbe risultata improbabile la partenza di famiglie dal suo paese.
Fra grisołe e cannitzadas
Eraclea è la denominazione assunta il 4 novembre 1950, in onore della più altisonante e “importante” città romano-bizantina, che si trovava a ridosso dell’attuale confine del territorio comunale con quello di San Donà di Piave. Prima era semplicemente Grisolera. Le grisołe, mi ha spiegato Talon, sono le tipiche canne di palude che un tempo caratterizzavano quell’ambiente, ricco di tali piante, utilizzate in passato per una molteplicità di cose, compresi i tetti delle abitazioni. Un uso presente anche nelle zone umide dell’Oristanese. Vedasi alla voce cannitzadas.
Io però ricordavo bene quel nome incrociato nei documenti passati per le mie mani in anni di ricerche. Proprio perché scomparso dalle carte geografiche mi ero spinto a compiere speciali indagini per poter collocare su qualche mappa questo centro sconosciuto. Nel sito internet del comune di Eraclea leggiamo che il vecchio toponimo è stato abbandonato perché evocava un passato di miseria. Patire la fame da queste parti deve essere stata davvero una brutta cosa per giustificare e motivare ufficialmente il cambio del nome. In effetti chi veniva ingaggiato per lavorare a Mussolinia, scappava molto spesso dalla miseria più nera, questa è stata soprattutto l’esperienza di coloro che hanno fatto parte della prima ondata migratoria dal 1927 al ’33. Le testimonianze dei pionieri abbondano in tal senso, anche se la situazione nella Mussolinia dei primi tempi non deve essere stata certamente migliore.
Ad ottocento chilometri di distanza, come a casa!
A ogni modo questo simpatico scambio di battute, mi ha portato a inserirmi in un discorso molto più ampio con lo stesso Talon, che a conclusione del simposio, ha tenuto a farmi visitare il bellissimo e imponente palazzo del Consorzio che si affaccia sulla principale piazza di San Dona di Piave. Varcare il suo portone mi ha permesso di compiere un viaggio ideale ed emotivo a più di 800 chilometri di distanza, dandomi la sensazione di aver fatto rientro a casa. Quello stile, i lunghi corridoi, i mobili, i passamano, le porte, le finestre e perfino i quadri che riprendono progetti o istantanee degli scarriolanti e dei tecnici di molti anni fa mi riportavano con la mente agli ambienti della Villa del Presidente SBS. D’altronde il palazzo del Consorzio di San Donà è stato costruito negli stessi anni in cui in Sardegna si erigeva il Villaggio Mussolini, inaugurato ufficialmente il 29 ottobre 1928 con i suoi luoghi simbolo e le sue ville. Non è da escludere che lo stesso Dolcetta, o l’ing. Avanzini che progettò la sua dimora, abbiano varcato le porte di questo maestoso edificio che ha rappresentato un’epoca di rigenerazione della terra e dell’uomo per tutto il sandonatese. E che dire poi delle magnifiche idrovore di Cittanova, del Termine e di Torre di Fine, gradevoli e imponenti, vere e proprie cattedrali dell’acqua, monumenti poco conosciuti, in Veneto come in Sardegna, ma che svolgono ancora una funzione fondamentale per mantenere all’asciutto ettari ed ettari di terreno. Forse sono solo suggestioni. Ma sono dell’idea che chi è cresciuto nell’agro di Mussolinia/Arborea, ha il dovere morale di fare almeno una volta nella vita un viaggio tra questi luoghi e scoprire quante analogie li accostino al suo paese. Ovviamente vale anche il discorso inverso.
Ho incontrato nuovamente e casualmente il dr. Talon la sera della mia partenza, nella piazza principale della città. Davanti a un caffè di commiato mi ha confidato un aneddoto freschissimo raccontatogli quello stesso giorno dal suocero ultranovantenne. Sentendolo parlare della bonifica di Arborea, l’anziano si era ricordato di aver avuto un cugino di cognome Bison trasferitosi a Mussolinia e che durante la guerra aveva trovato rifugio, rientrando nella penisola, proprio dai parenti lasciati a Ceggia in provincia di Venezia, a due passi da San Donà. Tutto questo a dimostrazione che il mondo è piccolo e le storie degli uomini si intrecciano più di quanto possa la nostra immaginazione.
A qualche giorno di distanza dal mio rientro, ho poi verificato dai miei appunti che ben due famiglie nei primi anni ’30 partirono da Grisolera, gli Zanchettin e i Fiorindo.
di Alberto Medda Costella.