Quando l’ispettore mi ha detto “qui in Venezuela non abbiamo oratori. Tu vieni dall’Italia, dove gli oratori sono vivi, partecipano e fanno. Se vuoi io ti fondo un oratorio”. Io ho copiato un po’ questo di Arborea e ne ho fondato uno simile a Boleita. Adesso abbiamo diversi oratori, fatti tutti sullo stesso stampo di questo. […] Anche le colonie che abbiamo iniziato lì erano impostate come la colonia della ventisei. È un pezzettino di Arborea impiantato lì.
Sono le parole di don Rino Bergamin missionario salesiano, proferite in occasione della nomina a cittadino onorario del comune di bonifica nel 2012. Bepin, così era chiamato dai famigliari, è tornato alla Casa del Padre il 13 febbraio di questo anno, a Castello di Godego, in provincia di Treviso. Era nato a Castelfranco Veneto il 13 marzo 1932, ma la sua famiglia si era trasferita in Sardegna nel 1946, tra le ultime in ordine di arrivo dal Veneto, per andare alle dipendenze della SBS di Arborea come mezzadri. Rino aveva però già scelto un’altra strada. Aveva iniziato a frequentare l’Aspirantato Missionario Salesiano di Asti, che lo portò a entrare in noviziato nel 1951 e a fare professione di fede religiosa nella congregazione nel 1952. Nello stesso anno parte per il Venezuela, che sarà la sua casa per sessant’anni. Anche lui, come i suoi genitori, era in qualche modo emigrante. Ma mentre la stragrande maggioranza dei veneti, di Arborea e del mondo, erano partiti per fame, lui “decise di emigrare per portare solidarietà e carità ai più bisognosi”, ha detto Gianni Sardo, presidente della più importante cooperativa di Arborea e uno degli animatori del circolo locale della Veneti nel Mondo, nella messa di suffragio celebrata il 20 di febbraio c.a. nella parrocchiale del SS Redentore del paese della bonifica sarda.
Don Rino ritorna in Italia per completare gli studi, a Castellamare di Stabia, e nel 1962, il 15 di marzo, viene ordinato sacerdote. Me ricordo perché mi iero militare a Nocera, dice il fratello Mario, che oggi vive in un podere dell’agro di Arborea. Verrà in Sardegna nell’estate di quello stesso anno, il 29 giugno, per celebrare la sua prima messa alla presenza di tutta la comunità. L’evento è noto, perché il giorno precedente, il mai dimenticato parroco don Aldo Maria Conti, benedice la grotta della Madonna di Lourdes, a fianco alla chiesa.
Bepin però ha poco tempo per trattenersi. Il suo Venezuela lo aspetta. Per decenni tornerà saltuariamente, il tempo giusto per salutare i parenti e raccogliere fondi per le sue missioni, tra la Sardegna e il Veneto, dove a fine anni settanta sono anche nel frattempo tornati i genitori e un fratello. A Boleita farà sia il direttore che il parroco, e fonda l’oratorio sul modello di quello arborense. Vi rimarrà per undici anni, fino a quando, per il suo carisma, sarà nominato delegato per la Pastorale dell’intero paese sudamericano. Di lì si sposta a San Cristobàl, dove apre un centro pastorale. Torna per un breve periodo a Roma, per poi ripartire per il Venezuela e assumersi la responsabilità delle Case di Don Bosco. Viene elaborato un cammino formativo, che oltre al soddisfacimento dei bisogni primari dei ragazzi raccolti in strada, e a pagar loro l’iscrizione alle scuole statali, prevede l’insegnamento di un mestiere.
Chi lo ha visitato negli ultimi mesi, racconta che il suo pensiero era sempre rivolto al paese adottivo e ai ragazzi di strada. Era preoccupato per la situazione politica venezuelana, e lo aveva già manifestato otto anni fa ad Arborea, in occasione dell’onorificenza fattagli dall’allora amministrazione, quando riportò che il governo minacciava di requisire le case che aveva contribuito a fondare.
Ricordo che a causa della sua opera più di una volta hanno tentato di assassinarlo. Dava fastidio alla mafia locale, perché oltre a portargli via la manovalanza, la combatteva con tutte le sue forze, racconta il nipote Alessandro, che nelle sue visite sarde ha avuto modo di frequentarlo. Quello che si evince di Don Rino è che era un personaggio scomodo e le cariche non le riteneva importanti. Da vero missionario la sua unica ragione di vita erano gli altri. Il suo pensiero era rivolto soprattutto ai bambini, per toglierli dalle strade e dar loro un futuro.
La sua vita meriterebbe di essere raccolta in un libro. Nel frattempo le sue idee, il suo esempio, continueranno a vivere nelle memorie di chi lo ha conosciuto e nelle dodici case che ha fatto costruire per servire gli ultimi, i niños de la calle, nello spirito di Don Bosco.
di Alberto Medda Costella, Presidente Associazione Veneti nel Mondo – Sardegna