Eredi di una Civiltà antichissima, i Veneti furono un popolo di grandi viaggiatori.
A muoverli c’era un indomabile spirito di avventura, una sete di conoscenza non disgiunta dal desiderio di elevare la propria vita, anche arricchendola di cose belle.
I Veneti divenuti poi famosi per viaggi in terre misteriose, in realtà battevano vie commerciali le cui origini risalgano alla preistoria. La più famosa è la Via dell’Ambra, che rappresenta un antico itinerario di trasporto, commercio e lavorazione di tale materiale: era un intero sistema di vie commerciali, che dai Mari Baltico e del Nord, luoghi d’estrazione della merce, conducevano verso le Civiltà mediterranee. Infatti, nella Penisola Italica, in Grecia ed in Egitto, l’ambra grezza era trasformata in preziosi monili.
Le Venezie erano uno snodo cruciale di questa rete, anzi questo tragitto ricalcava la grande direttrice d’espansione dei Veneti antichi dal Centro Europa verso Meridione.
Il traffico dell’ambraera controllato da genti venetiche e risale all’età del Bronzo Antico. Il cuore dell’attività estrattiva è tuttora la penisola di Samland, nella “exclave” russa di Kaliningrad, chiamata in Russo Янтарный край, cioè zona dell’ambra: oggi, su quelle coste marine, si ottengono con sistemi estrattivi di livello industriale dalle 300 alle 500 tonnellate annue della preziosa sostanza. Dai dintorni dello Samland, il viaggio seguiva il corso dei fiumi: si raggiungeva la foce della Vistola e risalendola si arrivava al fiume Warta, dopodiché s’imboccava l’affluente Prosna fino al corso superiore dell’Oder in Slesia e poi avanti, lungo la Morava, fino al Danubio.
Dove la Morava si congiunge con il Danubio si trovava Carnuntum (Petronell, in Austria), mercato e crocevia delle antiche strade mercantili. Da Carnuntum l’ambra passava all’antica Pannonia (Ungheria) – verso i Balcani settentrionali – e ad Aquileia nelle Venetiae, dove sorgevano raffinati centri manifatturieri.
Fu durante il Medioevo che lo sciame di navigatori ed esploratori veneti raggiunse un prestigio a livello mondiale. L’opera conosciuta come Il Milione è il resoconto del viaggio di Marco Polo, appartenente ad una famiglia che si era stabilita a Venezia nel 1033 proveniente dall’isola di Sebenico in Dalmazia. Insieme al padre Niccolò e allo zio Matteo, Marco partì da Trebisonda e, attraversate sconfinate terre incognite, giunsero fino a Pechino; furono i primi Europei a percorrere la Via della seta.
Tuttora in Cina, che i Veneziani chiamavano “Catai”, vi è un affezionato ricordo e grande ammirazione per la famiglia Polo: in Estremo Oriente Venezia è sempre stata vista come l’apice della Civiltà Occidentale. Dopo un primo viaggio in Cina del padre e dello zio, Marco Polo nel 1271 si unì a loro per questo incredibile viaggio che durò un ventennio, una missione svolta per conto del Pontefice Gregorio X; furono accolti con tutti gli onori dall’uomo più potente di allora, Kublai Khan, del quale Marco divenne l’ambasciatore, ma che non voleva privarsi della compagnia di questi Veneti. Finalmente ebbero il permesso di partire, avendo ricevuto come importante incarico conclusivo quello di scortare la principessa mongola Cocacìn verso la Persia, nel suo nuovo regno. Quando i Polo rincasarono a Venezia, dovevano sembrare degli Orientali, non li riconosceva più nessuno, neppure i parenti.
Per secoli chiunque, mercante o ambasciatore, dovesse compiere viaggi in Oriente dovette servirsi, come guida, del libro “Il Milione”, che conteneva i ricordi di viaggio dei Polo; persino la Repubblica Serenissima ne fece varie volte omaggio per questi scopi. Le informazioni contenute nel testo formarono la base delle prime carte geografiche. Anche il mappamondo del religioso muranese Fra’ Mauro (di metà ‘400) continuava a riportare le medesime indicazioni. Passavano i secoli e la guida dei viaggi mondiali restava la stessa, cioè Il Milione, sicché Cristoforo Colombo, scoperte le Americhe, morì convinto di essere approdato con le sue navi nel Catai, come i Polo chiamavano la Cina!
I Polo ebbero come iniziale centro dei loro interessi commerciali la Crimea, in quanto la principale direttrice battuta dai Veneti verso l’Oriente era il Mar Nero. Una volta attraversato questo mare estrema propaggine del Mediterraneo, gli scali d’arrivo erano due, uno proiettato verso Sud rispetto al Mar Caspio e uno verso Nord. Il primo fu appunto attraversato dai Polo nei loro viaggi ed era Trebisonda, mentre quello verso Nord ebbe una storia particolare. Si tratta di Tana (in Greco Tánaïs, cioè fiume Don), antica città situata alla foce del fiume Don nel Mare di Azov, dato che coincide pressappoco proprio con l’odierna Azov. È ad un tiro di schioppo (è il caso di dirlo, dato che laggiù si combatte ancora) dalla Repubblica di Donetsk e dalla città russa di Rostov sul Don. Tana fu fondata come colonia dai Greci nel VII secolo a.C. e divenne un importante emporio per il commercio, soprattutto di schiavi, con gli Sciti. I Veneti la fecero rinascere, prima frequentandola nel Trecento e poi ricostruendola più volte.
Lo Stato Veneto interveniva in modo penetrante e massiccio in economia, mantenendo la natura pubblica di gran parte dei mezzi di produzione e di commercializzazione, pur lasciando libere la proprietà e l’iniziativa privata. L’estesa rete di servizi pubblici, invece, non era proprietà dello Stato, ma di istituti religiosi cattolici, come nel caso di orfanatrofi e ospedali, oppure anche privati, ma sempre animati da scopo devozionale. Non solo era di proprietà pubblica l’Arsenale (allora era la più grande industria del mondo, costruiva sia le navi, sia il loro armamento), ma anche la principale flotta commerciale: ogni anno partivano imponenti convogli, sia verso l’Atlantico, sia verso Levante, detti “mude”, scortati dalla flotta da guerra. Sugli scali in Oriente Venezia vendeva le merci occidentali e acquistava quelle orientali, realizzando così guadagni stratosferici: dato lo sforzo immane compiuto dallo Stato, il prelievo fiscale si concentrava proprio su questi introiti mercantili, mentre le attività ordinarie soggiacevano ad una tassazione irrisoria.
Tana fu dunque l’anello che congiungeva il traffico del Mediterraneo con numerose vie carovaniere provenienti dalla Russia, dalla Crimea, dal Caucaso, dalle steppe mongoliche e dall’Estremo Oriente, avvalendosi anche dei fiumi Don e Volga; infatti, tra le maggiori merci ivi trafficate troviamo cereali e caviale (uova di storione). Il percorso tra Tana e Pechino durava 270 giorni, ma per tornare vivi bisognava avere una carovana di almeno sessanta persone. I diritti veneziani sulla Tana risalgono a quelli concessi Khan dell’Orda d’Oro Ganī Bek, morto nel 1357, ma il luogo era esposto a conquiste e incursioni di terribili eserciti. Nel 1395 il Tamerlano, Tīmūr Barlas, Generale turco-mongolo, la distrusse, facendo prigionieri tutti i Cristiani tra Don e Volga. Venezia non si perse d’animo e Bianco da Riva, Andrea Giustinian e Maffeo Barbarigo ottennero dal Khan il permesso di edificarla di nuovo, con annessi una serie di privilegi. Una seconda distruzione nel 1410 indusse Andrea Contarini a fortificarla meglio, munendo le mura tra il 1420 e 1424 di tre porte circondate da torri, (Superior, Giudacia, Ianuensis).
La necessità di contatti con tutto il mondo conosciuto spinse lo Stato Veneto ad organizzare il primo corpo diplomatico stabile della storia. La più potente arma della Repubblica era un efficiente e ben istruita rete diplomatica, che riforniva senza sosta il Veneto Senato di minuziose informazioni.
Lo storico Romanin ricorda come già all’inizio del Trecento Venezia avesse l’ambasciata attiva in Inghilterra e che nei Misti del Senato c’è traccia di un consolato nel 1391 addirittura presso il Siam (odierna Thailandia).
L’amico Danilo Morello ha fatto la felice scoperta che nella celebre città di Leopoli (antico insediamento fortificato ed importante centro commerciale, oggi annessa alla Repubblica di Ucraina), esisteva dal 1598 l’ambasciata della Veneta Serenissima Repubblica. Egli ci riferisce che l’antico edificio esiste ancora ed è tra i più bei e antichi palazzi della città, affacciati sulla grande piazza del mercato (Ploscad Rynek); esso porta il nome del suo antico e primo proprietario, perciò si chiama Palazzo Massari. L’antica ambasciata veneta si distingue ancora, perché sopra il portale, su una mensola in pietra, conserva l’originale Leone Marciano andante verso destra, avente libro aperto e recante la data del 1600.
Il Dalmata Antonio Massari era un ricco mercante veneziano, che nel 1610 venne insignito del titolo di ambasciatore dal Bailo di Pera (quartiere veneziano di Costantinopoli). L’attività del Massari spaziava dal commercio di tessuti preziosi ai contatti culturali con lo Studio di Padova (l’università nazionale veneta), dove studiavano medicina e giurisprudenza giovani appartenenti alle varie Nazionalità, tra cui quelle slave. Nella biblioteca di Leopoli si conservano ancora numerose opere, stampate e provenienti da Venezia.
La storia delle esplorazioni geografiche è stata scritta, così, in buona parte da Veneti, non solo da Veneziani e Chioggiotti. È celebre il caso del vicentino Antonio Pigafetta, navigatore, geografo e scrittore che compì la prima circumnavigazione del globo terrestre intrapresa al servizio della Corona spagnola tra il 10 agosto 1519 e il 6 settembre 1522; egli rilevò nel comando della flotta il portoghese Ferdinando Magellano dopo la morte di questi, portando a termine la spedizione di cui lasciò il dettagliato resoconto.
Mi piace ricordare altre due figure leggendarie di esploratori veneti del Novecento. Una nota società remiera di Venezia porta il nome del Tenente di Vascello Francesco Querini, morto nel 1900 tra i ghiacci del Polo Nord nel corso di una spedizione scientifica organizzata e condotta dal Duca degli Abruzzi. Querini era un Veneziano addetto alle ricerche mineralogiche e braccio destro del comandante Cagni.
Una nobile figura di eroe è quella dell’aviatore di Malamocco Pierluigi Penzo. Si distinse durante la Prima Guerra Mondiale sul fronte del Piave, a difesa degli spazi aerei del Regno d’Italia. Terminato il conflitto, non lasciò l’aviazione, ma diventò maggiore. Era il periodo delle spedizioni al Polo Nord e Penzo venne chiamato con il suo Marina II, un idrovolante SM55 – Dornier Wal, nel tristissimo epilogo della spedizione del “dirigibile Italia” di Umberto Nobile.
Pierluigi Penzo fu uno dei tanti sfortunati soccorritori dei naufraghi della Tenda Rossa, dove i sopravvissuti rischiavano il congelamento, che alla fine furono salvati da una nave rompighiaccio russa; perì in Francia il 31 agosto 1928 durante il volo di avvicinamento tra Strasburgo ed Avignone, quando il Marina II toccò un fascio di cavi elettrici nelle vicinanze di Valente, spezzandosi in due e precipitando nel Rodano. Il corpo del maggiore veneziano venne ritrovato due settimane dopo l’incidente, a circa 50 km a valle del luogo dove era stato visto cadere l’aereo. Pierluigi Penzo venne decorato con la medaglia d’argento dell’aeronautica alla memoria e venne sepolto nel cimitero di San Michele a Venezia.
Edoardo Rubini