Un angolo del Brenta.. In Brasile! Benvenuti a Colombo!
di Giorgia Miazzo
Marcel Proust diceva che Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi……
Non si può andare in Sud America e perdere l’occasione di attraversare lo Stato del Paraná che fa parte dei ventisette stati del Brasile ed è anche il quinto più ricco. Suddiviso in otto regioni, è conosciuto per le straordinarie cascate di Iguazù, per baie ricoperte di foreste di mangrovie, per zone con formazioni rocciose e gole profonde, nonché per città con urbanizzazioni moderne e per monumenti come la Cattedrale di Maringá, seconda più alta nel Sud America.
Vicino alla capitale Curitiba, grande e popolata con quasi 2 milioni di abitanti e valutata la città più verde, ecologica e esemplare brasiliana, molto visitata anche da turisti italiani, si trova Colombo, una piccola città con solo 200.000 abitanti. Già il suo nome fa soffermare, e anche se si sa che l’appellativo deriva dal latino columba ed è tra i simboli più diffusi nelle immagini cristiane proprio perché esprime la sua purezza, questo nome deve averlo ricevuto in omaggio da Cristoforo Colombo.
È una città con meraviglie naturali di rara bellezza come la Grotta di Bacaetava! L’hanno scoperta degli immigrati italiani 140 anni fa ed ora è il patrimonio speleologico più importante della regione oltre al più conosciuto e visitato data la sua vicinanza a centri urbani. È una grotta che si trova nella zona rurale di Colombo, all’interno di un parco con 173 mila metri quadrati di foresta nativa, ha ben 700 milioni di anni, e nei suoi 200 metri di lunghezza la percorre un fiume che riprende la sua corsa fuori della grotta. Si esplora una ricca flora e fauna, formazioni rocciose, stallatiti e stalagmiti che quando si incontrano formano delle colonne molto particolari e affascinanti. Attraversarla è semplicemente una esperienza indimenticabile… nel cammino, si sente solo il rumore del proprio passo che rimbomba nel totale silenzio interrotto dalle gocce d’acqua e dal canto degli uccelli che svolazzano.
Questa città dal nome delicato, ha iniziato a popolarsi nel 1878 quando 162 contadini/un gruppo di coloni italiani capeggiati da Angelo Cavalli arrivarono dalla città di Morretes, 70km da Curitiba, per stabilirsi. In quell’anno creano una colonia che si chiama Alfredo Chaves.
Il suo sistema produttivo si basa sulle industrie che estraggono calce e calcare e in modo particolare sull’agricoltura con importanti coltivazioni di orto frutta. Dal Colle della Croce, 1200 metri, ossia il punto più alto della città di Colombo, si possono vedere piccole aziende in stile italiano.
Rende onore a questa gente anche il buon vino che producono e le viti si trovano in tutto il territorio, sono orgogliosi delle loro produzioni, tant’è che sulla bandiera di Colombo è stampata anche una bella immagine di un grappolo d’uva.
Ogni anno fanno una importante Festa dell’UVA e del Vino, quest’anno è alla 16esima edizione. È davvero un’ occasione da non perdere perché c’è allegria, buona musica italiana, canti e balli dei primi immigrati italiani che si sono incontrati a Colombo, e abbonda il vino di qualità e cibo italiano.
La cosa originale avviene quando passeggiando per le viuzze si incontrano tanti connazionali che riconoscono la lingua veneta e si fermano per fare amicizia e ti accolgono con simpatia e affetto senza pari.
Magari sorprende scoprire che non sono turisti in vacanza ma persone che discendono da genitori, nonni e bisnonni partiti alla fine del 1800 dai nostri paesetti in cerca di fortuna o solo di un opportunità per mantenere la propria famiglia.
Qui si possono ancora trovare esempi di quelle case provvisorie che il governo dava ai coloni, resta qualche casa in pietra, poi c’è un museo con una casetta in legno che contiene molti pezzi del loro passato.
È la solita storia di immigrazione, ma che stupisce perché mai ci si immagina di trovare proprio li una parte di veneto riprodotto accuratamente e con infinito amore in tutto quello che gli avi gli hanno insegnato.
L’origine della popolazione di Colombo è soprattutto italiana, convivono anche etnie francesi, tedesche, inglesi e svizzere, benché sia molto considerevole quella polacca. Secondo i dati del 2008, nella comunità di Colombo risiedono dai 20 ai 30 mila discendenti, dei quali 5 mila capiscono e comunicano in veneto. Ogni anno da circa 10 anni celebrano la Settimana Italiana con musica, banchetti, una serata di filò e la serata finale.
I paesini dai quali derivano sono molto nostrani come Solagna, Vastagna, Bassano, Marostica, Campolongo, e così via… oppure si fa conoscenza con famiglie dal cognome Ongaro, Bettinardi, Canestaro, originari da Carmignano di Brenta in provincia di Padova.
Nel 1880, Francesco Busato insieme ad altri immigrati ha fabbricato il primo mulino di farina di mais con la ruota idraulica e nello stesso anno ha messo in piedi la prima fabbrica di porcellana artistica del Brasile, considerata la migliore.
In questa città, culla della immigrazione italiana e che pochissimi italiani vengono a visitare, le persone che ci incontrano non stanno nella pelle dalla felicità. Sono molto amorevoli, non sono abituati alla nostra visita e nonostante l’ emozione, quando si inizia a discorrere ci si capisce al volo, le distanze si accorciano e in qualche modo per entrambi ci si ritrova a casa.
Molti di loro hanno origine tra Treviso, Padova e Vicenza, partiti soprattutto dalla Val Brenta e di consegueza sono brentaroi. Si rivelano persone molto semplici, socievoli e con lo stupore di aver incontrato un veneto della Italia in carne ed ossa che gli va a far visita. È emozionante sentire un calore così sincero da persone che conosci da qualche ora, ma che magari i loro nonni erano amici dei tuoi o magari i loro avi abitavano in un paese poco distante dal tuo e discorrendo scopri che hanno lo stesso cognome di un tuo compagno.
L’ospitalità è così cordiale e festosa che non si può rinunciare… Ti accolgono alla loro toea (tola) come se fossi un essere raro e prezioso, alla sera insieme fanno il (filò) fiò, il colore giallo lo chiamano daeo (zalo, zaeo), il topo per loro è il sorde (sorze), i capelli li chiamano cavigi (cavei) e come un tempo, per loro i suoceri sono missier e madonna (sòcero, sòcera). Poi si raccontano: nialtri simo na famegia de barba, amia, derman e dermana e favimo…
È una lingua cristallizzata e parlano un impeccabile talian, lo stupore mi pervade così tanto che starei con loro senza limite di tempo. I ricordi dei nonni riaffiorano insieme ai loro termini che non sono cambiati dopo oltre cent’anni. Non serve nient’altro che ascoltare e in un baleno si torna bambini, con la leggerezza e la semplicità tipica della nostra indole. Grandi lavoratori, credenti, molto legati ai valori della famiglia ma anche amanti della buona cucina, della buona musica, del ballo, e loro anche esperti conoscitori del mondo. Famiglie sane, coraggiose, che non si sono vendute per la fama o per i soldi, si sono guadagnate con grandi sacrifici la considerazione di cui ora vanno fiere. Ancora oggi lavorano sodo per vivere e mantengono alti e intoccabili i valori ereditati e il rispetto per una nazione o paese che spesso preferisce dimenticarli.
Intanto mi osservano, cercando nello sguardo la calda e rassicurante atmosfera assorbita dai loro avi. Sono orgogliosi di farmi sapere che sanno a memoria filastrocche, proverbi, molti racconti, storie, come coltivano, cosa mangiano e come fanno il filò. Una frase mi colpisce al cuore quando mi dicono “sai di casa nostra”.
… le ore scorrono veloci e l’argia (aria) si sta rinfrescando… per un po’ torno bambina e prometto di non dimenticare, di raccontare, e di ritornare per rivivere questa atmosfera incantata che a malincuore devo ammettere, da noi è dimenticata.